L’uomo seduto al tavolo di fronte
osservò a lungo la solitudine della donna seduta,
la tazza del caffè girava nervosamente fra le sue lunghe e affusolate dita,
lo sguardo cercava incessante fra gli altri volti qualcosa o qualcuno,
era ormai passato il tempo, le lancette dell’orologio sulla parete
avevano fatto già un giro abbondante e ancora nulla;
Lo sconforto iniziò a disegnare, sul suo viso, con i classici toni della delusione e della rabbia,
la tazza ormai vuota era poggiata male sul piattino, sopra il cucchiaino, in bilico,
le mani ora, cercavano insieme agli occhi un numero sul cellulare,
il pollice premette il tasto invio e portò all’orecchio il piccolo apparato,
inutili squilli, nessuno rispose, posò il cellulare in borsa
e portò le mani fra i suoi lunghi e ricci capelli castani, tenendosi il viso,
nascondendo ora, una lacrima.
Con un piccolo e candido fazzoletto si asciugò gli occhi,
lo specchietto per vedere se il trucco che per quell’incontro aveva messo,
sobrio e molto femminile, avesse lasciato sbavature sul volto;
Prese dal portafogli una banconota, la posò sul tavolo, si alzò
sistemandosi la gonna e la giacca del tailleur azzurro che indossava,
che sembrava disegnato su quel corpo non più giovane ma ancora molto attraente,
guardò in giro un’ultima volta, forse per mascherare l’imbarazzo e la delusione
di una sedia vuota al suo tavolo e si incamminò verso l’uscita;
Passò di fianco all’uomo che fino ad allora l’aveva osservata
con lo sguardo, bellissimo e fiero, in avanti, tipico della rabbia e della delusione,
dall’appendiabiti prese il suo cappotto blu, lo indossò
e aprì con un gesto di stizza la porta del bar,
appannata per la differenza di temperatura con il freddo dell’esterno.
L’uomo al tavolo, non l’avrebbe più rivista
ma mai più avrebbe dimenticato quello sguardo triste e sconsolato,
quella delusione e quel dolore;
Prese il suo giornale ed il cappello, pagò la consumazione e dall’attaccapanni il suo giaccone,
lo indossò e uscì nel freddo inverno cittadino,
salì sul quarantacinque, dopo tre fermate scese, guardò il palazzo di fronte
e salì sull’ascensore, il trentacinquesimo piano, appartamento duecentosei,
il campanello suonò, dopo alcuni istanti la serratura con uno scatto fece aprire la porta,
dall’altra parte un viso con lo stesso sguardo di quello visto alcuni minuti prima al bar
lo osservò quasi incredulo, al suo sorriso, il volto dietro la porta rispose con un sorriso
ed un milione di lacrime, spalancata la porta ci fu un abbraccio ed un lungo bacio,
le disse di prendere il cappotto, la porta si chiuse nell’appartamento ora vuoto,
e uscirono, le chiese scusa con un’altro bacio e la prese per mano,
si strinsero fianco a fianco ed andarono incontro ad una nuova sera,
la prima di una serie di infinite nuove.
Mai più avrebbe dimenticato quello sguardo, mai più …
(Lu)
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