Vago, perso fra rovi e ortiche
in cerca di una fuga da un mondo che
regala solo amarezza e dolore,
cercando un sole, illusione di una luce artificiale
che possa liberarmi da inutili passaggi di stanche lancette
di un orologio che nulla guarda se non il suo avanzare,
così lentamente rapido che,
perdersi in un cumulo di cenere è un'attimo;
silenzi urlati a voce troppo alta,
ripreso dai professori, dai maestri della vita,
da quelli che arrogano la pretesa di esserci già passati;
Ma da dove, da cosa, dal mio sentiero?
No, troppi rovi e troppe ortiche,
ragnatele sul viso danno la certezza del primo passaggio,
neppure più gli scorpioni prendono il sole su queste taglienti rocce,
serpi, strisciano altrove, a cercare rifugi meno pericolosi,
eppure la certezza che il buio sarebbe finito
che il sole altro non fosse che un luminoso astro in cielo
che la luna regalasse notti d'Amore e non ululati di lupi,
tutti ne eravamo certi, anche i professori, i maestri di vita;
Giunsi in cima alla salita, lacero, dolorante e coperto di sangue,
guardai là oltre l'orizzonte,
quel paradiso promesso, quel prato in cui correre, quel prato di spine e ortiche, come il percorso,
quel prato di fiori neri, di erba arida, di insetti pungenti,
di vita spesa a cercare la vita, bruciata in un rovo.
(Lu)
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